Probabilmente questa è la sera che più preferisco di tutto l'anno (anche se è appena cominciato!).
Per i Decimini è una delle feste più sentite, una di quelle in cui sono importanti la Semplicità e la Famiglia, dove la tradizione, per fortuna, resiste ancora al consumismo delle feste appena trascorse.
Conservo gelosamente questa foto del lontano 1984 perchè è l'unica che ho del fantoccio che ogni 5 gennaio costruivano gli uomini della famiglia Forni.
Quest'anno l'ho ripresa in mano per realizzarne un LayOut che potete vedere qui.
Il sacchetto del pane nella pagina contiene due journaling: uno con nozioni storiche che mi ha passato il sempre gentilissimo Floriano Govoni, il secondo è il mio ricordo personale, e voglio postare entrambi:
“A brusa la vècia” è il grido che accompagna, da diverse centinaia di anni, il rogo delle befane a San Matteo della Decima. La sera della vigilia dell’Epifania nelle campagne della nostra popolosa frazione si costruiscono e si bruciano fantocci di paglia di grandi dimensioni.
Un tempo, fin dal mattino della vigilia, gli uomini, con l’aiuto dei ragazzi più grandicelli e accompagnati dallo sguardo interessato dei più piccoli, preparavano due grossi bastoni robusti o pertiche; i bastoni venivano legati a forma di croce e, a loro volta, ricoperti con spessi strati di paglia.
Con i fusti secchi del granoturco (i malghêr) e filo di ferro si assemblava la struttura in modo tale che diventasse un blocco unico. A volte al posto dei “fusti” si utilizzavano le fascine (i fascét) oppure, per far durare più a lungo lo spettacolo dell’abbruciamento, si utilizzavano entrambi.
Finita la costruzione “dla Befana”, che raggiungeva a volte l’altezza di 6-7 metri, essa veniva eretta in un luogo isolato ed abbastanza distante dalle abitazioni per evitare pericoli di incendio; inoltre per rendere il fantoccio vagamente somigliante, almeno da lontano, ad una vecchia, le veniva messo in testa un enorme fazzoletto allacciato sotto al mento ed ai fianchi le veniva applicato un grembiule multicolore formato da pezzetti di stoffa inutilizzabili per altri usi. Al calar della sera la Befana (la Vècia) veniva bruciata alla presenza dei costruttori del fantoccio, degli amici, dei conoscenti e dei confinanti.
Con urla, grida e “a brusa la Vècia” si attendeva che il fuoco si esaurisse; poi i presenti ritornavano alle proprie case dove ad attenderli c’era “l’arzdòura” con la cena della vigilia già pronta.
L’epifania è una festa molto sentita a Decima, e ricordo con emozione quando si bruciava la “nostra” Befana in via Pironi. Allora quasi ogni famiglia ne costruiva una, ed era bello ammirarle in lontananza mentre bruciavano più o meno rapidamente, al grido di “a brusa la vècia!”
E al rientro in casa, ci aspettavano il camino acceso, da stuzzicare con l’attizzatoio per fare “maranghèn-maranghèn” sperando che portasse un po’ di soldini, e una bella giocata a bestia, mentre i più piccoli costruivano barchette coi gusci delle noci e gli stuzzicadenti fissati con qualche goccia di cera di una candela.
Oggi non è più così, le “vecchie” che si bruciano sono solo una decina circa ogni anno, sono più “moderne” e contornate anche da fuochi d’artificio, ma qualcuno, per fortuna, ha ancora voglia di mantenere queste belle tradizioni.
Questa è, purtroppo, l’unica foto che ho di mio nonno paterno Mario mentre dà gli ultimi ritocchi al fantoccio, mentre io, dall’ “alto” dei miei quasi 7 anni, ammiro quanto sia grande e mi chiedo come faccia a stare in piedi.
Risale all’ormai lontano 5 gennaio 1984, ma il mio ricordo è vivo come allora, e questa tradizione, fatta di cose semplici e “riciclate”, alberga nel mio cuore e fa sì che l’Epifania sia la mia festa preferita, pensando sempre con affetto a chi, per primo, me l’ha fatta amare, i nonni Mario ed Elsa.
1 commento:
Bellissimo ed emozionante grazie! Per una Decimina di adozione come me è importante recuperare queste belle tradizioni per poterle trasmettere alle mie bimbe, Decimine di nascita :)
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